Intenzionata a “non vivere più in posti in cui non si vede più il cielo”, dieci anni fa Miriam Pugliese (nella foto in alto insieme a Domenico Vivino) è tornata alle sue origini con l’obiettivo di dare sostanza ad un’idea che avrebbe potuto portare benefici sia a sé stessa che a San Floro, paesino del catanzarese in cui la cooperativa Nido di Seta – intorno ai 200mila euro di fatturato nel 2021 a fronte di tre dipendenti fissi e sei stagionali – ha stabilito la propria base. Assieme agli altri due cofondatori del progetto legato alla gelsibachicoltura, Giovanna Bagnato e Domenico Vivino, a partire dal 2014, Miriam si è dedicata ad attività di ripristino del sito in sostanziale abbandono e alla successiva produzione di seta grezza, fino ad arrivare all’allevamento diretto di quei preziosi bachi da seta che sono al centro del lavoro giornaliero della dinamica Pmi calabrese.
“La nostra famiglia ormai è stabilmente in Lombardia, ma in tutte le occasioni che mi sono capitate negli anni di tornare nella regione d’origine dei miei genitori, la voglia di fare qualcosa per questo territorio è stata sempre molto forte – sottolinea Pugliese –. Lavorando all’estero mi sono anche resa conto di volere qualcosa di diverso, di più vicino a quella vita immersa nella natura che la Calabria è sicuramente in grado di offrire. E così mi sono trasferita a San Floro, magari con un’idea eccessivamente bucolica di ciò che sarei andata a fare. Infatti poi ho scoperto che mandare avanti un’impresa, provando a fare la differenza per te e per chi ti dà fiducia, è tutt’altro: i sacrifici sono una costante, ma è comunque valsa la pena prendere la decisione di venire ad impegnarsi da queste parti per ottenere, tra le altre cose, pure una migliore qualità di vita”.
Il progetto di Nido di Seta è partito con la coltivazione, in cinque ettari di terreno, di 3mila piante di Kokusò, gelso bianco con innesto coreano a cui ha fatto seguito la fase dell’allevamento dei bachi da seta, al momento arrivati a raggiungere le 60-70mila unità. “Nel loro ciclo di vita sono tre i giorni in cui producono seta e ci danno la possibilità di far partire un circolo virtuoso capace di farla arrivare grezza agli artigiani che lavorano assieme a noi. I bozzoli vengono così trasformati dalla loro competenza in filati, tessuti e prodotti finiti, mentre, parallelamente, cerchiamo di far conoscere questo mondo poco noto ma estremamente affascinante a chi ci viene a trovare a San Floro ormai da ogni parte del mondo. Tra loro molti americani e nordeuropei per un numero complessivo di visitatori che, nel corso del 2022, ha toccato quota 6.500”.
Tour esperienziali molto apprezzati e che prendono il via dal museo della seta allestito all’interno delle mura del castello Caracciolo, dove sono custoditi parecchi cimeli di quell’attività artigianale che, tra il 1300 e il 1700, aveva fatto diventare Catanzaro la capitale europea della seta. “Chi viene da noi può farsi un’idea più precisa di come si svolgeva il lavoro negli antichi filari, dei vari tessuti damascati prodotti nel catanzarese, delle tinture con colori naturali, dei diversi tipi di seta usati nel tempo, per poi trasferirsi in campagna dove, passeggiando, si è in grado di apprezzare le fasi dell’allevamento dei bachi. Processi di cui fa parte anche la trattura della seta, momento centrale in cui vengono dipanati i bozzoli”, spiega la cofondatrice di Nido di Seta.
Avendo seguito percorsi diversi prima di convergere sul progetto Nido di Seta, i tre fondatori sono riusciti a dare al percorso aziendale una traiettoria ricca di spunti in grado di interessare chi arriva a San Floro. Il tutto tenuto assieme dal forte messaggio sociale che lega gli sforzi di un team deciso a dare nuove prospettive a questa parte di Calabria. “Stiamo dimostrando che se si vuole si può. Partiti da risorse nostre e senza il minimo aiuto pubblico, nel nostro piccolo siamo stati capaci di creare posti di lavoro oltre che un circuito virtuoso – conferma Pugliese –. Inoltre nella regione stanno nascendo altre bellissime realtà e la sensazione è che le cose stiano pian piano cambiando, pur se la strada resta ancora non ben definita”.
In questo solco si inserisce la progettazione di una macchina per la produzione della seta, strumento non più presente sul territorio europeo a partire dagli anni ‘80. “Purtroppo da molto questi preziosi macchinari sono stati trasferiti soprattutto in Cina e India e quindi, per provare a portare il nostro filato all’industria del lusso e sulle passerelle internazionali, avevamo bisogno di averne almeno uno a disposizione. E così, dopo un anno e mezzo di lavoro, nel corso del 2023 saremo pronti per fornire ad un’importante griffe italiana la seta che ci hanno richiesto. Per capire il corretto modus operandi e stabilire le caratteristiche necessarie per mettere a punto la macchina per estrarre la seta dal bozzolo abbiamo viaggiato tantissimo in Thailandia, India e in Europa. Questo ci ha dato le giuste competenze che, in collaborazione con una startup innovativa con base a Zagarolo, nel Lazio, ci hanno permesso di creare un prototipo di macchina per trattura che ha anche la possibilità di connettersi in remoto ed eventualmente aiutare a visualizzare i risultati del lavoro pure da lontano”, conclude Miriam Pugliese.